Alessandro Campi, Stefano De Luca (a cura di), Il realismo politico. Figure, concetti, prospettive di ricerca, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014, pp. 966.
Recensione di Eugenio Capozzi
Un progetto editoriale ambizioso come questo appare decisamente «inattuale» in un’epoca di sempre più estrema specializzazione e crescente parcellizzazione della ricerca nel campo delle scienze umane. Alessandro Campi, Stefano De Luca e un nucleo di studiosi facente capo principalmente (ma non solo) all’Università di Perugia hanno concepito la temeraria impresa di radunare in un convegno (tenutosi a Perugia tra il 17 e il 19 ottobre 2013) circa settanta colleghi – storici di varie epoche e delle dottrine politiche, politologi, sociologi, giuristi, studiosi di filosofia, di geopolitica e di relazioni internazionali – per discutere sul tema del realismo politico, analizzato dalle più varie prospettive metodologiche e disciplinari. E, successivamente, quella se possibile ancor più temeraria di sviluppare i temi discussi in quella sede – aggiungendovi ulteriori interventi – in un monumentale volume di quasi mille pagine.
Già soltanto per tale motivo, e per il livello intellettuale dei partecipanti, il libro meriterebbe un plauso da parte di quanti percepiscono con preoccupazione un progressivo ripiegamento minimalista della storia e delle scienze politiche, in conseguenza del quale gli studi più seri rimangono sovente rinchiusi nei confini di brevi articoli su riviste settoriali di limitata diffusione e le monografie tendono a ridursi a pamphlet o instant books.
Le lodevoli intenzioni, peraltro, non sarebbero di per sé sufficienti a garantire il successo di un’impresa del genere, e anzi si rivelerebbero addirittura controproducenti, se i risultati non fossero pari alle ambizioni dispiegate.
Ma va detto fin da subito che la lettura, necessariamente lunga e ovviamente non sempre agevole, ripaga ampiamente la fatica: Il realismo politico. Figure, concetti e prospettive di ricerca si configura non come una mera sintesi sullo state of the art nelle (e di confronto dialettico tra le) varie discipline coinvolte, ma come un vivace laboratorio in cui diverse chiavi interpretative vengono messe alla prova, alla ricerca di sintesi più avanzate e comprensive.
Proprio questo era l’obiettivo che organizzatori e curatori si erano prefissi. Come essi dichiarano nella efficace introduzione, il progetto ha origine dalla netta percezione di un risveglio generalizzato di interesse per la categoria di realismo politico nel dibattito scientifico e civile del mondo occidentale: un risveglio da porre in relazione in primo luogo con la «dissoluzione concettuale» e la «crisi di credibilità storica» della grandi costruzioni ideologiche otto-novecentesche (p. 5). Da questa percezione deriva l’idea di promuovere «un’articolata ricognizione storico-critica» di quella categoria, allo scopo di «saggiarne l’utilità dal punto di vista euristico-interpretativo con riferimento alla complessa congiuntura storico-politica che l’Italia e il mondo stanno vivendo» (p. 7).
L’ambizione dell’opera sta, dunque, soprattutto nel tentativo di verificare da svariati punti di vista l’efficacia attuale di un criterio di lettura della realtà politica riconosciuto come «termometro» assai sensibile nell’evoluzione della cultura euro-occidentale, dall’antichità classica fino alla fine del XX secolo. Fino a che punto ancora sussiste un rapporto di continuità tra quella lunga tradizione e i nuovi significati che il realismo sembra assumere negli ultimi decenni come criterio ermeneutico per l’analisi dei fenomeni politici nel mondo del post Guerra fredda e dei processi di globalizzazione? E, al fondo, è ancora possibile un’osservazione rigorosamente scientifica dei fenomeni politici in un’epoca in cui il «politeismo dei valori» weberiano appare sempre più sfociare nella babele dello «scontro tra civiltà» huntingtoniano?
Le cinque parti in cui il libro è suddiviso rispecchiano con evidenza, nei loro contenuti, questa impostazione problematica.
La prima sezione (Pensare il realismo politico, oggi) e la quarta (Gli aspetti teorici del realismo politico) sono dedicate specificamente al dibattito teorico: l’una dal punto di vista di un bilancio generale sui fondamenti filosofici e metodologici del realismo; l’altra da quello dell’approfondimento di specifici aspetti di esso, nell’intersezione tra gli svariati approcci delle discipline coinvolte.
Alcuni tra gli interventi iniziali – in particolare quelli di Pier Paolo Portinaro, Angelo Panebianco e Lorenzo Ornaghi – forniscono le coordinate all’interno delle quali vanno collocati i risultati scientifici dell’intero progetto.
Da differenti prospettive, i tre studiosi sembrano convergere sull’idea che sia tempo di archiviare definizioni scolastiche e convenzionali del realismo, e che non sia possibile ormai declinare questa nozione se non alla luce delle nuove angolazioni offerte ad essa dalla nascita del mondo globalizzato, così come dai più recenti sviluppi delle scienze politiche e sociali.
Portinaro sottolinea come a partire dalla storia del XX secolo il realismo politico si configuri innanzitutto come critica delle ideologie. Dopo aver svolto un ruolo fondamentale nella «demistificazione» dei pensieri totalitari, il realismo si ripropone come uno strumento critico valido per la comprensione del dopo Guerra fredda: «le sue categorie sono oggi ineludibili per chi voglia capire le sconvolgenti dinamiche della globalizzazione o per chi si interroghi sulle dinamiche e le prospettive delle cosiddette guerre umanitarie» (p. 34).
Panebianco, dal canto suo, sostiene che le due tipologie prevalenti nella tradizione realistica (quella che vede la violenza come fattore centrale per spiegare i rapporti tra Stati, e quella che enfatizza il ruolo delle élite nei regimi politici) vanno profondamente riviste, in quanto esse hanno condotto troppo spesso «a trattare i gruppi politici – Stati o fazioni che siano – come “attori collettivi” o unitari» (p. 43), trascurando le innumerevoli possibilità di interazione tra moventi collettivi e individuali, e l’altrettanto innumerevole varietà di questi ultimi.
La necessità di riformulare la nozione di realismo in un senso più articolato viene poi ribadita anche da Ornaghi, il quale osserva che «le “invarianze” della storia, così come le “regolarità” della politica, avrebbero […] un ben fragile fondamento (e la loro ricerca sarebbe di assai equivoca utilità) quando a renderle argomentabili e persuasive non ci fosse la continua esplorazione della natura umana, nella sua immodificabilità e nella sua mutevolezza, talmente lenta da risultare pressoché impercettibile» (p. 64).
La seconda sezione (Materiali per una fenomenologia del realismo politico) e la terza (Realismo politico e tradizione italiana) hanno carattere eminentemente storiografico, ma seguono traiettorie e periodizzazioni in gran parte poco prevedibili. L’una prende avvio da Tucidide e tocca, come ci si poteva attendere, i teorici classici del realismo moderno come Machiavelli e Hobbes, ma si sofferma poi in particolare su pensatori contemporanei come Schmitt, Strauss o Aron. E, soprattutto, dedica molto spazio al pensiero politico e all’analisi delle relazioni internazionali nella cultura anglosassone del XX secolo (Mackinder, Spykman, Morgenthau, Niebuhr, Brzezinski). L’altra non si diffonde su pensatori tipicamente considerati come padri nobili del realismo come lo stesso Machiavelli, Guicciardini o Botero, ma, a parte un saggio dedicato sorprendentemente a Savonarola (firmato da Cécile Terreaux-Scotto), è dedicata esclusivamente all’analisi del tema in intellettuali otto-novecenteschi di varia estrazione e tendenza, spesso non considerati parte di un pantheon ideale del realismo (Gioberti, Balbo, Ferrari, Bonghi, Burzio, Chabod, Malaparte), oltre che in protagonisti del dibattito propriamente filosofico-politico e politologico. Tra i quali però, a parte i nomi di Croce e Michels, assumono una posizione centrale soprattutto pensatori del XX secolo maturo come Gianfranco Miglio e Norberto Bobbio.
Nell’ultima partizione (La politica contemporanea sotto la lente del realismo politico) si cerca infine di monitorare le possibilità evolutive del realismo politico in epoca contemporanea applicandolo ad alcuni nodi di politica corrente: il passaggio dell’Italia dalla prima alla seconda repubblica, l’evoluzione dell’integrazione europea, i movimenti populisti e le élite nell’era della globalizzazione, il neoconservatorismo americano, i nuovi conflitti del Medio Oriente alla luce della crescita dell’islamismo radicale.
In conclusione, a dispetto della sua imponenza, questo volume non si presenta come un’opera di tipo enciclopedico o, men che meno, manualistico. Al contrario, si tratta di un lavoro aperto, anticonvenzionale, a tratti felicemente provocatorio. Proprio la evidente sua rispondenza innanzitutto alle più urgenti domande, tanto metodologiche quanto etico-politiche, dei suoi promotori e curatori potrebbe per certi versi essere considerata un suo limite, ma si rivela invece, nella migliore tradizione delle scienze politiche italiane ed europee, un punto di forza.
Chi credesse di trovare nel libro una qualche «sistemazione» accademica della materia trattata resterebbe deluso. Quanti, viceversa, cerchino in esso categorie adeguate alla comprensione di realtà sociali, politiche e culturali in complessa e tumultuosa evoluzione, troveranno una grande quantità di suggestioni e spunti per nuove ricerche, ma anche per il dibattito civile, che li spingeranno a tornare e ritornare spesso alla lettura dell’uno o dell’altro tra i moltissimi validi contributi in esso proposti.