Di Silvia Benini (Università degli studi di Pavia)
Con l’episodio Sleep, dearie sleep si chiude la sesta ed ultima stagione della seguitissima – e premiatissima – serie The Crown. Il titolo dell’episodio riprende quello della commovente elegia per cornamusa suonata al funerale della regina Elisabetta II il 19 settembre 2022, a rafforzare l’idea della chiusura di un cerchio, apertosi storicamente con la sua incoronazione nel 1953 e, scenicamente, con la messa in onda della prima stagione nel 2016.
Terminata la serie è quindi il momento di fare i bilanci. The Crown è stata una serie di grande successo, capace di attirare l’attenzione non solo dei fan della famiglia reale britannica o delle serie di ambito storico, ma del pubblico più generale. E l’impressione che se ne ha è che, anzi, abbia contribuito ad accrescere l’interesse per la firm, anche da parte di coloro che non se ne erano mai appassionati, divenendo sin da subito un fenomeno globale. Alla costruzione di questo successo hanno contribuito indubbiamente la ricchezza e accuratezza delle ambientazioni e dei costumi, le prove magistrali degli attori e delle attrici – su tutte le tre interpreti della regina Elisabetta: Claire Foy, Olivia Colman e Imelda Staunton, ma anche la straordinaria Elizabeth Debicki nei panni di Lady Diana – i dialoghi e, soprattutto, quella capacità di intrecciare vicende note e pubbliche e ricostruzione di vite private. Con The Crown, insomma, si ha avuto l’impressione di poter guardare oltre l’istituzione, per indagare nella vita privata della sovrana più longeva della storia britannica e della sua famiglia. Ma si tratta, appunto, di un’impressione, di un’illusione: se le vicende storiche riportate in The Crown si sono effettivamente verificate, nulla si può dire dei dialoghi privati che avvennero tra le mura di Buckingham Palace, o Balmoral, o Windsor, frutto esclusivamente della fantasia degli sceneggiatori. Ma è indubbio che l’equilibrio tra queste due dimensioni – tra il pubblico e il privato, l’istituzione e la donna – in The Crown ha funzionato a lungo e ne ha fatto la fortuna.
E tuttavia, guardando soprattutto alla sesta ed ultima stagione, non si può non notare come questo equilibrio abbia finito sempre più per incrinarsi a vantaggio della dimensione privata. Infatti, nelle prime stagioni, ogni episodio prendeva spunto da vicende storiche del Regno Unito e del Commonwealth – si pensi ad esempio alla seconda stagione con gli episodi Disavventura sulla crisi di Suez e Gentile Sig.ra Kennedy sulle tensioni con il Ghana di Nkrumah, o ancora ad Aberfan della terza stagione sulla strage provocata dalla frana della miniera di carbone nell’omonimo villaggio gallese – per poi indagare come queste si riverberavano sulla sfera privata di Elisabetta II e della sua famiglia. Tuttavia, con le ultime stagioni questo espediente è sempre meno presente e scompare del tutto nella sesta.
A ciò si aggiunge il fatto che, con il passare degli anni, la regina, nelle prime stagioni protagonista indiscussa della serie, assume un ruolo sempre più marginale, a vantaggio di altri membri della famiglia reale molto più notiziabili, e in particolare del Principe Carlo e della Principessa Diana. Proprio a quest’ultima e ai suoi ultimi tragici mesi di vita sono infatti dedicati quasi interamente i primi quattro episodi della sesta stagione, che ricalcano e approfondiscono quanto già visto nel meraviglioso film The Queen del 2006, sceneggiato dallo stesso Peter Morgan autore della serie. L’impressione che se ne ricava è, quindi, che gli sceneggiatori abbiano finito per allontanarsi dal dramma storico per avvicinarsi al dramma tout court, indagando (e inventando, vale sempre la pena ricordarlo) sentimenti, dolori e motivazioni di una delle coppie più chiacchierate del secolo scorso, ma sganciandosi da qualunque tentativo di ricostruzione storica. Ciò si spiega, probabilmente, per la vicinanza temporale dei fatti trattati e per la curiosità morbosa che questi hanno sempre attirato. In altre, parole, se si è riusciti a mantenere un certo distacco nel narrare le vicende dell’infelice amore tra la Principessa Margaret e Peter Townsend, inserendolo nella più ampia cornice della storia sociale e politica della Gran Bretagna del secondo dopoguerra, la relazione tra Carlo e Diana ha fagocitato invece l’intera serie. Con l’approssimarsi al tempo presente, la serie ha perso quindi quell’aurea patinata e quasi mitica che caratterizzava le prime stagioni, per rispondere alle curiosità e le aspettative degli spettatori che quelle vicende le hanno lette e viste in tv o nei tabloid, e volevano avere un assaggio in più di quanto accadeva dietro le porte dei palazzi reali.
Gli ultimi sei episodi della sesta stagione, che seguono la morte di Diana e chiudono la serie, pur riprendendo lo stile “monografico” che caratterizzava le stagioni precedenti – in cui grandi temi vengono presentati, affrontati e conclusi nell’arco di un episodio – eliminano dalla narrazione qualunque grande avvenimento storico, e lo stesso coinvolgimento del Regno Unito in Iraq resta sullo sfondo. L’attenzione si sposta quindi sulle giovani generazioni, sulla storia tra Carlo e Camilla, finalmente accettata dalla famiglia reale, sulle difficoltà dei principi William e Harry nell’elaborare il lutto e nell’affrontare i loro – diversi – ruoli pubblici, e sull’incontro del primo con Kate Middleton. Anche in questo caso gli sceneggiatori restano strettamente ancorati alla sfera privata della famiglia reale, e cercano di far vedere già in controluce quello che effettivamente avverrà: la lite tra i fratelli Wales, i funerali del principe Filippo e della regina Elisabetta. Ciò è particolarmente evidente nel finale di stagione, quasi onirico, dedicato alla regina. Questa riprende il centro della scena per un ultimo episodio per fare un bilancio della propria vita al servizio della nazione, e per interrogarsi su quel che sarà dopo di lei.
The Crown, quindi, iniziata come un sontuoso dramma storico, finisce per schiacciarsi sempre più su un racconto attuale e quasi scandalistico, allontanandosi da quello che era il suo tema centrale: la sopravvivenza di un’istituzione millenaria in un mondo che cambia e la risposta delle persone che la corona la indossano alle sfide poste dalla contemporaneità. Nonostante questa parabola discendente, però, la serie rimane indiscutibilmente affascinante, con una scrittura e una fattura insuperabili, e capace di esplorare in sei stagioni l’universo di simboli, significati e storie legati alla Corona britannica.