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Napoleon, ossia uno statista privo di carattere

di Stefano Levati (Università degli Studi di Milano)

L’uscita dell’ultimo film di Ridley Scott, Napoleon, aveva suscitato grandi aspettative, sia per il valore del regista, sia per l’intramontabile interesse per l’epopea napoleonica, ulteriormente alimentato dalle numerose biografie e ricerche apparse in occasione del bicentenario della scomparsa di Bonaparte. Solo in relazione al mondo editoriale italiano ricordo, tra gli altri, la biografia politica di Antonino De Francesco (Il naufrago e il dominatore, Neri Pozza), la ricostruzione dell’impatto che la morte e la memoria di Napoleone ebbero sulla società e sulla cultura europea di Vittorio Criscuolo (Ei fu. La morte di Napoleone, il Mulino) o ancora lo studio di Arianna Arisi Rota dedicato alla storia, alla memoria e al mito di Napoleone Bonaparte attraverso due secoli di culto dei suoi oggetti (Il cappello dell’imperatore, Donzelli). L’attesa del film di Scott era accresciuta in quanti avessero ben presente l’opera prima del regista britannico, I duellanti (1977), che attraverso il conflitto di due ufficiali degli ussari di diversa estrazione sociale, mirabilmente interpretati da Harvey Keitel e Keith Carradine, aveva ricostruito la permanenza dei codici d’onore del mondo d’antico regime, nonostante la Rivoluzione francese, e quindi il sordo conflitto tra due mondi, quello di un ufficiale di estrazione aristocratica e quello di un tenente di umili origini, che nella rivoluzione aveva trovato il modo di elevarsi socialmente. Una vicenda che, attraversando l’intera epopea napoleonica che fa da sfondo ai diversi tentativi di duello tra i due, ha avuto la capacità di restituire alcuni interessanti aspetti di quella stagione e della successiva restaurazione.

Tali aspettative sono però state deluse dall’ultimo lavoro di Scott e non tanto per le numerose libertà che, inevitabilmente, il regista si prende, a partire dalla scena d’apertura in cui un giovane Bonaparte assiste alla decapitazione della regina Maria Antonietta (cosa che non accadde) o alla scelta di fare interpretare il personaggio di Josephine ad un’attrice ben più giovane di Joaquin Phoenix, che interpreta Napoleone (lei aveva sei anni più di lui), o ancora di ambientare la battaglia d’Egitto in prossimità delle piramidi, altra scena di grande effetto cinematografico, ma falsa. Altrettanto perdonabili, sempre in una prospettiva cinematografica, sono i salti temporali e soprattutto logici che costellano il film e che, immagino, abbiano disorientato lo spettatore che non fosse già a conoscenza delle vicende storiche narrate. A partire dalla fulminea carriera militare del Nostro, che passa dalla presa di Tolone alla Campagna d’Egitto, senza fare alcun cenno alla campagna d’Italia, e quindi direttamente alla presa del potere, con il colpo di Stato di Brumaio. Certo, sarebbe stato impensabile dare conto di tutte gli avvenimenti che andarono ad alimentare la fama di Napoleone senza appesantire oltre misura la pellicola, anche se qualche escamotage avrebbe potuto essere adottato. Ciò che invece risulta meno accettabile è l’aver ridotto la figura di Napoleone ad una macchietta, ad un individuo goffo e privo di spessore politico, soggiogato dalle donne, che ne avrebbero condizionato continuamente e in misura determinante le scelte militari e politiche. Fin dall’inizio, ancor prima che Josephine faccia la sua comparsa sulla scena, sia filmica che reale, la presa di Tolone si conclude con l’invito che il giovane ufficiale corso rivolge al fratello di rappresentare tempestivamente alla madre l’onore di cui si è ricoperto, quasi che la sola e vera molla dell’impresa fosse quella di dimostrare alla madre il proprio valore. Tuttavia, la presenza della madre lascia subito il posto quella ben più condizionante e “ingombrante” di Josephine. A partire dalla sua apparizione l’intera vicenda politica del generale Bonaparte è dettata dalla passione e dalla gelosia per la moglie, quasi non fosse in atto un feroce conflitto continentale dalle complesse sfaccettature politiche e militari che il Nostro seppe comprendere con acume ed astutamente indirizzare a proprio vantaggio. Si consideri ad esempio il precipitoso ritorno in Francia dall’Egitto nell’agosto del 1799, che nel film risulta dettato non tanto dalla volontà di prendere il potere, come avvenne con il colpo di Stato del novembre di quello stesso anno, ma dalla notizia che la moglie lo tradiva con un giovane ufficiale. Il regista ricorre alla medesima chiave di lettura per motivare il ritorno dall’esilio dall’Elba: un Napoleone innamorato appena rientrato in patria si reca immediatamente alla Malmaison, residenza della sua amata, per scoprirne la sua prematura dipartita. Un’evidente forzatura, dato che Josephine era morta pochi giorni dopo l’imbarco dell’Imperatore per il suo primo esilio elbano, ma ancora una volta funzionale alla narrazione di un Bonaparte ossessionato dalla prima consorte, che ne avrebbe condizionato anche le scelte politiche. Insomma, un Napoleone totalmente privato della sua aura politica e guidato nel suo agire non da un – per quanto discutibile – progetto di domino e di grandeur, ma dall’amore per la vedova Beauharnais.

L’uomo Napoleone, con le sue gelosie e le sue debolezze, che oscura e ridicolizza l’immagine del genio militare e del grande statista. Solo negli ultimi fotogrammi della pellicola il regista “recupera” il significato politico dell’agire dell’Imperatore, denunciando con una tabella priva di qualsiasi commento i costi umani delle campagne napoleoniche e introducendo così una questione di grande rilievo, ma del tutto inaspettata proprio perché mai accennata nel corso della narrazione e poco comprensibile considerato il taglio sentimentale dato alla ricostruzione della sua vita. Si ripropone, quindi, nel finale della pellicola, l’immagine di Napoleone quale orco cattivo, mostruoso tiranno avido di carne umana, così come spesso descritto dalla coeva propaganda, specialmente britannica. Tema di grande respiro e di cocente attualità, ma che non viene di fatto affrontato, preferendo limitarsi a mettere in ridicolo con tratti grotteschi quello che – volenti o nolenti – resta uno degli uomini che più hanno inciso sulla nostra storia “recente”.

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Antonio Bonatesta
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