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La grande ambizione

Di Achille Conti (Università di Bologna)

Quello che in apparenza sembra un film su Enrico Berlinguer è in realtà un’opera più ampia che racconta un frammento della vita del segretario comunista, ma anche la storia del compromesso storico e di un pezzo di storia italiana, in particolare quella compresa tra il 1973 e il 1978. In merito al compromesso storico, il film offre una ricostruzione rigorosa e ben costruita,  in quanto fa emergere con chiarezza le paure del segretario comunista, e cioè che l’Italia finisca per prendere una deriva autoritaria, e le difficoltà di rapportarsi con un partito come la Dc, composto da varie anime spesso concorrenti. Emblematica, in questo senso, l’immagine che emerge delle figure più importanti della Dc dell’epoca, Moro e Andreotti; il primo viene descritto secondo un canone classico della filmografia italiana, e cioè come un leader tormentato dalle contingenze politiche e capace di attirare la simpatia umana da parte del pubblico, il secondo come un leader istrionico e machiavellico verso cui diventa difficile sviluppare una forma di empatia. Il fatto che venga sottolineato come Moro non avesse a disposizione, a differenza di Andreotti, un’auto blindata esplicita perfettamente la differente impostazione con cui vengono descritti i due politici democristiani.

Ben descritte sono anche le difficili trattative per far approvare alla base e alla classe dirigente comunista la linea berlingueriana, una su tutte la riluttanza di Ingrao ad accettare il ruolo di Presidente della Camera. Altrettanto ben ricostruite sono le vicende nazionali, come la battaglia referendaria sul divorzio, l’emergere della strategia della tensione e lo scoppio delle proteste giovanili del 1977. All’interno di questo scenario si muove Berlinguer, di cui viene fornito anche uno spaccato quotidiano, con diversi momenti in cui il segretario comunista viene descritto nelle sue abitudini giornaliere, inserendolo così in un bel quadro familiare fatto di affetto e complicità, in cui però la componente politica è all’ordine del giorno.

Altro elemento interessante è la differenza, proposta in maniera evidente, tra la via italiana al socialismo, incarnata dall’umanità di Berlinguer, e l’ingessato comunismo dell’Europa orientale, fatto di riti tipici delle dittature, ben descritti nel caso del XXV congresso del Pcus del 1976, da cui emergono leader cinici come Breznev, Ponomarov e Zivkov, con quest’ultimo accusato, all’inizio del film, di aver tentato di uccidere il segretario del Pci durante il suo viaggio a Sofia.

Un aspetto da sottolineare è l’assenza di riferimenti al padre di Berlinguer, che, a differenza della madre, non viene mai citato nel film pur essendo stato colui che, grazie agli importanti ruoli politici ricoperti nel 1944/45 e al rapporto con Togliatti, permise al giovane figlio di entrare fin da subito nell’apparato comunista. Si tratta, probabilmente, di una scelta voluta che avrebbe fatto saltare quello schema, ricorrente nel film, di un Berlinguer comunista fin da giovanissimo, visto  che il padre, oltre ad essere un noto avvocato nella città di Sassari, era su posizioni politiche socialiste-libertarie tanto da essere stato eletto in Senato e alla Camera nelle liste socialiste.      

Se ci trovassimo di fronte a un saggio storico, dovremmo sottolineare il fatto che i socialisti siano stati del tutto espulsi dalla storia e che Craxi, nei momenti in cui si descrive l’angoscia di Berlinguer di fronte alle richieste di Moro di trattare per la sua liberazione, non venga mai citato come il leader maggiormente favorevole alla trattativa. Ma invece ci troviamo di fronte a un film il cui compito non è quello di privilegiare l’accuratezza e il rigore storiografico, visto che il mezzo cinematografico sceglie quali storie raccontare e da quale punto di vista. Il rigore, l’accuratezza e la completezza delle fonti spettano agli storici, i quali, nel loro lavoro di ricerca, non devono escludere nulla dal racconto e devono evitare di cadere in quel meccanismo, presente anche nel film, tendente a mitizzare la figura di Berlinguer, il cui rigore morale non è in discussione, ma non può rappresentare la categoria di riferimento per coloro che fanno ricerca storica. Il cinema, giustamente, contribuisce alla creazione dei miti, agli storici il compito di metterli in discussione.

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