• Search

Chile 50

Di: Gennaro Carotenuto (Università della Campania)

Quando Salvador Allende venne svegliato alle 6.30 del mattino dell’11 settembre 1973 nella residenza privata della Calle Tomás Moro, a Santiago, per comunicargli che il colpo di Stato da tempo atteso fosse in corso, non sapeva che il mondo come lo aveva conosciuto lui, un medico del 1908, classe media dedita alla causa popolare, entrato in parlamento durante la guerra civile spagnola, sarebbe morto con lui alla raffica di mitra dell’AK47 donatogli da Fidel Castro, con la quale si suicidò.

È un mondo, quello di Salvador Allende, che possiamo fare iniziare con la Seconda Internazionale, quella dei partiti moderni e della classe operaia strutturata che, nel pieno dell’era industriale, costruisce e per molti versi inventa la democrazia di massa attraverso i corpi intermedi, dei quali simbolo è il sindacato. Decenni di propaganda, da Kissinger a Wojtyla a Thatcher, che considerava il golpe di Pinochet come il meglio che potesse accadere al Cile hanno occultato il valore e il successo di tre anni di governo di UP. Questo portava avanti un programma riformista avanzato che, con la nazionalizzazione del rame, passava dalla riforma agraria agli alloggi popolari, da un sistema educativo pubblico inclusivo all’ampliamento del diritto alla salute al salario minimo. Tutto, pur se nella polarizzazione estrema della società, avveniva con un consenso popolare in crescita, che permetteva ad Allende di guardare con fiducia al plebiscito che aveva deciso di indire proprio per rispondere alla polarizzazione dell’opinione pubblica e che Pinochet fa ritardare con l’inganno, per realizzare il colpo di Stato, come confermano ulteriori carte desegretate negli USA in questi giorni.

Quando alle 9.10 di mattina di quello stesso 11 settembre 1973, a bombardamento del palazzo della Moneda in corso, Allende pronuncia a braccio, in diretta su Radio Magallanes, uno dei più alti discorsi politici della Storia, quello sulle “grandi Alamedas” dove sarebbe tornato a passare l’uomo libero, non sapeva che con lui non moriva solo il suo progetto politico, che stava dimostrando con i fatti che si potesse costruire il socialismo in pace e democrazia, ma anche una precisa stagione della Storia, che identifichiamo con i Trenta gloriosi che, anche in molti luoghi dell’America Latina aveva costruito stati sociali importanti ma da tempo (Guatemala 1954, Argentina 1955, Brasile 1964, Uruguay, appena il 27 giugno di quel 1973) era sotto attacco nell’ambito della guerra fredda.

Su Allende e la stagione dell’Unità Popolare in Cile (una coalizione frontista tra laici e marxisti simile a quelle che governarono Francia e Spagna negli anni Trenta) si combattono più battaglie della memoria. La prima di queste è legata già al suicido del Presidente, e al suo valore simbolico, negato per decenni soprattutto da sinistra. La leggenda dell’assassinio fu generata dall’allegoria che ne fece immediatamente Gabriel García Márquez[1] , che romanzò un improbabile duello finale dove, per motivi tanto politici come antropologici, l’omicidio illustrava meglio la ferocia del golpe. Solo coi decenni poté affermarsi l’interpretazione del suicidio come ‘atto di coerenza politica’ in difesa di quel sistema valoriale che chiamiamo democrazia. Un atto di coerenza che ben venne colto in Italia da Enrico Berlinguer. Mentre scoppiava la crisi petrolifera, nel microcosmo italiano, il segretario comunista parte dal Cile[2] per arrivare al Compromesso storico con Aldo Moro e la Democrazia Cristiana.

La seconda battaglia della memoria gira intorno a che Salvador Allende non aveva previsto, però accadde, che quel giorno non era solo lui come uomo a morire, con circa 3100 militanti di Unidad Popular assassinati in una ostentazione di barbarie da parte della dittatura di Augusto Pinochet, ma anche che quel giorno sarebbe davvero cambiato il mondo. Coloro ‘che avevano la forza ma non la ragione’ avrebbero realizzato una Rivoluzione conservatrice (valga l’ossimoro) e avrebbero smantellato un sistema funzionante, per trasformare proprio il Cile in un esperimento sociale che avrebbe chiuso scuole e ospedali, trasporti e pensioni e cancellato qualunque logica pubblica e redistributiva, in omaggio all’ideologia neoliberale, quasi un decennio prima di Thatcher e Reagan nei paesi centrali. Teorizzata da Friedrich von Hayek e Milton Friedman, tale ideologia fu imposta al Cile solo in assenza di democrazia, libertà di stampa, libere elezioni, diritti sindacali delle classi lavoratrici, in un paese trasformato in una camera di tortura a cielo aperto che Augusto Pinochet avrebbe innanzitutto depoliticizzato per i successivi diciassette anni e per i tre decenni seguenti, fino a noi. Il trionfo, il vero trionfo di Augusto Pinochet nella battaglia della memoria citata è aver fatto scomparire nella coscienza della nazione cilena che scuole od ospedali siano un tempo stati pubblici e che in linea teorica potrebbero tornare a esserlo in futuro. Questa ideologia da fine della Storia di Francis Fukuyama fu fatta propria dalla coalizione di partiti imperniata su Partito Socialista e Democrazia Cristiana. La transizione democratica, con le presidenze Aylwyn, Frei figlio, Lagos, poi l’alternanza tra Michelle Bachelet ed Eduardo Piñera fu realizzata a patto di non toccare il modello economico vigente e di non aprire il capitolo delle violazioni dei diritti umani che il dittatore riteneva garantito dalla autoamnistia del 1978. Tutto questo inizia a cambiare per l’azione esogena dell’arresto di Pinochet a Londra nel 1998. Riportato a casa, con gran sollievo di tutti, l’ex-dittatore, continua a vigere, al contrario che in Argentina, la prassi della “giustizia nella misura del possibile”, con passi avanti ma senza avere mai la forza di smantellare nell’essenza il tessuto di complicità̀ della dittatura e la sostanziale indifferenza di una società ben descritta nel Chile actual del sociologo Tomás Moulián[3]. È un Cile che continua a bearsi di un reddito medio da primo mondo, ma che scomposto in decili mantiene ricchezze sconfinate e povertà senza speranza e che si tiene da quarant’anni la Costituzione autoritaria scritta da Pinochet. Quando l’ha provata a cambiare, dopo il cosiddetto “estallido social” del 2019, le grandi proteste giovanili represse nel sangue dall’ultimo Piñera, ha prima eletto una Costituente iper-progressista, col compito di scrivere la Costituzione più moderna del mondo, per poi pentirsene e bocciarla. Se il 78% nel 2019 aveva votato per avere una nuova Costituzione, nel 2022 solo il 38% approvò il risultato lasciando in vigore quella di Pinochet, lasciando in gran difficoltà il giovane presidente Gabriel Boric, che da quelle proteste e da quella richiesta proveniva, per ritrovarsi a governare ancora sotto l’ombra nera del Generale che aveva tradito Salvador Allende.


[1] G. García Márquez, A ruota libera 1974-1995, Mondadori, Milano 2003, pp. 15-17 (ed. or. Chile, el golpe y los gringos, «Alternativa», n. 1, Bogotà 1974).

[2] E. Berlinguer, Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile, “Rinascita”, 12 ottobre 1973.

[3] T. Moulián, Chile actual: anatomía de un mito, LOM, Santiago, 1997.

Written by
redazione
View all articles
Written by redazione