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Infiltrare l’odio? Blackkklansman, vite nere e supremazia bianca

Di Silvia Pizzirani (Università di Milano)

«If I am not for myself, who will be? If I am for myself alone, who am I? If not now, when? And if not you, who?» Pirkei Avot 1:14, nel film enunciato da Kwame Ture

Figura 1 – Adam Driver e John David Washington, rispettivamente Ron Stallworth e Flip Zimmerman, nella scena del film in cui Ron riceve la tessera di membro locale del Kkk

Il film del 2018 di Spike Lee Blackkklansman è ispirato alla storia vera di Ron Stallworth, il primo detective afroamericano assunto dalla polizia di Colorado Springs nel 1979. La storia narrata nel film si concentra sulla scelta di Ron di contattare la sezione locale del Ku Klux Klan per ricevere informazioni e riuscire a infiltrarsi nel gruppo, coadiuvato da un agente bianco di cui non si conosce la vera identità. Il film ha un ritmo incalzante che mischia ambientazione storica, comicità ed elementi tipici di un buon poliziesco, il tutto arricchito, in classico stile Spike Lee, da riflessioni sulla blackness e richiami politici contemporanei più o meno espliciti, come il discorso del giovane David Duke su America First e i video finali del Unite the Right rally del 2017, con le proteste e l’attacco che ferì molte persone e uccise la manifestante Heather Heyer.

Figura 2 – Foto della tessera di membro del Kkk di Stallworth e del suo tesserino identificativo di poliziotto, da https://www.ron-stallworth.com/.

(Spoiler!)

La scena più interessante e forse più potente di tutto il film è quella in cui scorrono in parallelo le immagini della cerimonia di iniziazione dei nuovi clansman, tra cui l’infiltrato Flip, e le immagini di un incontro organizzato dall’Unione studenti neri del Colorado College, in cui un testimone racconta il (vero) linciaggio di Jesse Washington, avvenuto nel 1916 sulla base di una accusa infondata di stupro e omicidio. Mentre nel primo caso la cerimonia, in cui l’ideologia razzista e pseudo scientifica del Kkk emerge in tutta la sua brutalità, culmina con le urla «White power!» e la visione di The Birth of a Nation, film del 1915 (amato anche dal Presidente Wilson) che celebrava la nascita del Kkk nel periodo della Ricostruzione, nel secondo la drammaticità degli eventi legati al brutale e ingiusto omicidio di Jesse porta il testimone, interpretato da Harry Belafonte, a ricordare che l’oppressione e la violenza da sempre subiti dal popolo afroamericano li aveva portati quel giorno a riunirsi nel nome del potere nero. Questa scena mostra quindi come potere bianco e potere nero, che alla fine del film diventano esplicitamente suprematismo bianco e Black Lives Matter, non sono due controparti ugualmente legittime: il primo è infatti sempre stato espressione di sopraffazione e violenza di un gruppo su un altro (o molti altri in realtà) mentre il secondo è un movimento nato proprio dalla lotta contro quella stessa violenza, una lotta di libertà,  per emanciparsi da una condizione di subalternità costruita e mantenuta dal potere costituito.

Il regista e gli sceneggiatori del film si sono presi alcune libertà artistiche rispetto alla storia originale, come l’anno di ambientazione (1972 invece che 1979) e il fatto che Flip, l’agente sotto copertura, sia di religione ebraica, elemento su cui da un lato si gioca per aumentare la tensione in alcune scene e che dall’altro permette di parlare, anche se flebilmente, del tema dell’alleanza tra diversi gruppi presi di mira dalla narrazione suprematista bianca: in una scena in cui Ron e Flip si confrontano e Flip lo accusa di star portando avanti una crociata, non solo il suo lavoro, Ron gli fa notare che, per quanto si facesse passare per Wasp (ovvero White Anglosaxon Protestant), in quanto ebreo anche lui avrebbe dovuto avere più a cuore la missione. Un’altra differenza è che, anche se i membri locali del Kkk di Colorado Springs discussero per un periodo di attaccare un bar frequentato da omosessuali, il vero Ron non si trovò mai a dover sventare alcun loro attentato, mentre nel film i protagonisti riescono a salvare due attiviste della Black student union da una bomba del Kkk. È vero però, come accade alla fine del film, che l’indagine fu insabbiata e a Ron fu chiesto di distruggere tutti i documenti.

Blackkklansman ha ricevuto molti riconoscimenti internazionali, ma anche molte critiche[1], in primis dal regista Boots Riley. Una delle critiche riguarda il fatto che il protagonista della lotta al razzismo è un poliziotto, in un momento storico in cui il movimento Black Lives Matter è al centro del dibattito pubblico, e in cui la popolazione afroamericana ancora affronta quotidianamente il razzismo strutturale da parte della polizia. Inoltre, il film glissa quasi del tutto sul ruolo ricoperto da Stallworth per tre anni (e non in un solo evento) come infiltrato nelle organizzazioni radicali nere, un ruolo non da poco conto se si guarda alla storia degli Stati Uniti. Il Counter Intelligence Program dell’Fbi (Cointelpro) ha progettato per anni modi per distruggere le organizzazioni politiche più o meno radicali, in particolare quelle afroamericane, e l’utilizzo degli infiltrati era una parte fondamentale di questa operazione, come ad esempio dimostra la storia del leader delle pantere nere Fred Hampton, ucciso anche grazie all’azione di un infiltrato (su questa storia è uscito nel 2021 il bel film Judas and the Black Messiah[2]).

Figura 3 – LaKeith Stanfield e Jesse Plemons, rispettivamente William O’Neil e l’agente Fbi Roy Mitchell, nella scena del film Judas and the Black Messiah in cui i due stringono l’accordo

Il lavoro di Lee va sicuramente nella direzione di mostrare come non tutti i poliziotti siano corrotti o razzisti, come dimostra la scelta di rappresentare un evento, non accaduto realmente, in cui Ron e colleghi collaborano per far arrestare il poliziotto razzista, forse più un sogno di Lee su come dovrebbe effettivamente lavorare la polizia. Il film ha comunque il pregio di narrare una storia (in parte vera) decisamente coinvolgente, e anche di far emergere, senza fornire alibi o giustificazioni di sorta, i legami tra potere politico, esercito e polizia con il Klan e il suprematismo bianco, come si evince anche con il colloquio finale con il capo della polizia che impedisce a Ron e Flip di continuare con il loro lavoro sotto copertura. Blackkklansman vuole anche mostrare le origini dell’ideologia, della narrazione e della base di potere trumpiana, cioè una reazione alle idee e ai movimenti che cercano di mettere in discussione la gerarchia di potere costruita sulle linee di colore, classe e genere, linee e gerarchie che, va riconosciuto, hanno plasmato gli Stati Uniti fin dalle origini.


[1] https://www.roughcutcinema.com/post/working-within-the-system-spike-lee-and-the-hollywood-idealization-of-the-police.

[2] https://jacobin.com/2021/02/judas-black-messiah-film-review.

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