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Il presidente Mattarella. Sullo stile del Capo dello Stato ad un anno dall’insediamento

Maurizio Ridolfi (Università della Tuscia)

Il rapporto tra cittadini e poteri può beneficiare di un osservatorio originale attraverso una riflessione storica sull’azione e sull’immagine dei presidenti.  Indagare i comportamenti dei presidenti della Repubblica e decifrarne i codici di comunicazione nell’esercizio dei loro poteri aiuta a cogliere il diverso “stile” politico con cui si impersona il potere. I possibili percorsi di ricerca potrebbero essere diversi: le relazioni tra il capo dello stato, i cittadini e l’opinione pubblica; l’uso dei rituali civili e dei simboli nella costruzione dell’identità nazionale; l’immagine (istituzionale e privata) dei presidenti nell’opinione pubblica, il ruolo dei media (stampa, fotografia, radio, cinema, televisione, internet); l’influenza esercitata dal Quirinale nel delineare l’immagine europea e internazionale dell’Italia. La riflessione storica deve inoltre concorrere a meglio comprendere stringenti questioni di attualità: la personalizzazione della politica, le retoriche populistiche, la crisi di legittimazione del potere nazionale nelle democrazie occidentali.

La crisi della Repubblica e l’incompiuta transizione verso un nuovo equilibrio dei poteri hanno proposto all’attenzione la figura e il ruolo del Presidente dello Stato nella vita politica e istituzionale del paese. La Costituzione italiana limita la sovranità popolare attraverso il governo delle leggi e l’equilibrio tra i diversi poteri, con un prioritario ruolo di garanzia assegnato al Presidente della Repubblica, Capo dello Stato democratico e custode dell’unità nazionale. In realtà, le figure che si succedettero al Quirinale nel secondo dopoguerra diedero forma a distinti “stili” presidenziali ovvero ad una peculiare “personificazione” della Repubblica; ciò che una lettura finalmente condotta anche sul terreno politico-comunicativo e simbolico-rituale permette di evidenziare[i]. Di volta in volta i presidenti hanno svolto il ruolo di notaio ovvero di arbitro, interpretando magari entrambi i ruoli a seconda dei momenti lungo il settennato, di minore o maggiore presenza dei partiti e di forti leadership di governo; come nel caso recente di Giorgio Napolitano, durante il primo mandato (prima e dopo il 2011).

Sullo svolgimento della effettiva funzione presidenziale ancora poco sappiamo sul piano storico-culturale, nella correlazione cioè tra i fattori politico-istituzionali e quelli simbolico-rituali. Nell’articolare la sua storia dei primi presidenti (da De Nicola a Segni) attraverso le fonti dell’Archivio Storico del Quirinale, Alessandro Giacone ha sottolineato che occorre la correlazione tra «la “mise en scene” de l’institution présidentielle et la manière dont celle-ci est perçue par la population».[ii] Nell’esercizio del potere infatti, una tale dimensione risulta essenziale nel definire non solo lo “stile” presidenziale di chi si è succeduto al Quirinale, ma anche la storia e la mutevole immagine della Repubblica (nel paese e nelle relazioni internazionali). Fin dalle origini essa del resto dovette «se donner un visage et s’incarner à travers une série de rituels et de symboles»; «le président contribue à incarner la République italienne: il est à la fois l’acteur et l’ordonnateur des commémorations et des fêtes nationales et se déplace fréquemment dans le régions italiennes».[iii]

Come si è fatto per altre realtà nazionali – per esempio in Francia[iv] e negli Stati Uniti –, osservare i comportamenti dei presidenti della Repubblica e decifrarne i codici di rappresentazione nell’esercizio dei loro poteri aiuta a cogliere il grado diverso di sensibilità verso la promozione di una coesione nazionale se non di un rimotivato patriottismo repubblicano a sostegno delle istituzioni e della sempre discussa religione civile degli italiani. Lo stile di ogni presidente rinvia all’oratoria e alla retorica, ai concetti usati, ai fattori di continuità o meno con i predecessori, ma anche ai diversi linguaggi rispetto tanto ai mezzi di comunicazione (tra radio, stampa periodica, siti e blog internet in anni più recenti) che ai luoghi della scena in cui il Capo dello Stato si trova ad operare (Parlamento, Quirinale, Altare della Patria, salotto privato, rituali civili, rituali mediatici come il discorso di fine anno[v], ecc.).

Se volessimo cogliere alcuni dei caratteri dello “stile presidenziale” di Mattarella, passato ormai il suo primo anno di carica[vi], potremmo utilmente riferirci a due momenti essenziali di ogni Capo dello Stato: il discorso di insediamento e il primo messaggio di fine anno al Paese. Nonostante le apparenze, retorica e gesti simbolici interagiscono nel rappresentarne un’immagine tutt’altro che “grigia”. Gli osservatori avevano prefigurato già al momento della sua elezione i tratti salienti del possibile stile del nuovo presidente, frutto di un’indole personale sobria e riservata – per quanto decisa nelle prese di posizione – nonché di un contesto assai diverso da quello in cui si trovò ad operare il predecessore Napolitano, chiamato eccezionalmente dall’empasse dei partiti ad un secondo mandato.

Fu in particolare Marzio Breda, tra i più incisivi osservatori di quanto accade e dentro e intorno al Quirinale[vii], a prefigurare come il neo presidente avesse intenzione di collocare la figura del Capo dello Stato in un rapporto coi cittadini attento dapprima ai problemi e alle aspettative della quotidianità: “Dalla parte del Paese che si ritrova più depressa, esausta e impaurita da questa lunga stagione di crisi e alla quale vorrebbe offrire una nuova speranza”[viii]. Stretto tra gli interessi di un’economia ancora esausta e però in fase di rilancio, e le passioni di una politica ancora volta più a delegittimare l’avversario che ad assicurare il compimento di un approdo riformatore, Mattarella volle subito dichiarare quale fosse il modo di interpretare i poteri attribuitegli dalla Costituzione, quello dell’arbitro e del garante a vantaggio di tutti gli attori della scena politica: “Nel linguaggio corrente  si è soliti tradurre il compito del Capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione. E’ un’immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza”[ix]. Mattarella ha esercitato il suo ruolo senza ostentazione alcuna e quasi con una retorica sussiegosa. Senza assumere decisioni “interventiste” come era accaduto con recenti presidenti (con Oscar Scalfaro e Napolitano per esempio)), egli si è però mantenuto vigile del “gioco politico”, attraverso la riflessione tecnica del giurista competente che accompagna l’iter legislativo, nonché esercitando una continua e discreta moral suasion; come pure alcuni Capi dello Stato avevano fatto in passato, con una sicura influenza, come già nel caso esemplare di Luigi Einaudi all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione. Arbitro e non giocatore dunque Mattarella ha mostrato di voler essere; una immagine tutt’altro che grigia e notarile, che uno stile dimesso e riflessivo ha fatto pensare ad alcuni tra i più frettolosi osservatori. Magari, imputando ciò anche alla forte componente religiosa del suo profilo politico e intellettuale, senza comunque oscurare – nel solco dell’insegnamento di Aldo Moro e nel riconoscimento del magistero morale di Papa Francesco – il primato laico dello Stato e della responsabilità di esserne il suo massimo rappresentante.

Nel discorso di insediamento come in quello di fine anno, rivolgendosi più ai cittadini che ai partiti, Mattarella ha richiamato ad un nuovo senso di comune responsabilità e coesione nel nome della Repubblica. Sono parole  incisive a sostegno della nostra identità repubblicana e di una materialità ravvicinata e visibile della Repubblica: “Il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo”. E ancora: “La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste nella sua applicazione, nel viverla ogni giorno”. Senza dissimulare la sfida della corruzione ed anzi legandola all’esercizio di una piena cittadinanza: “[Essa, nda] Ha raggiunto un livello inaccettabile. Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini. Penalizza gli onesti e i capaci”.

I tratti dello stile di Mattarella sono stati confermati dalle rilevanze tematiche rimarcate nel discorso di fine anno: i bisogni quotidiani dei cittadini (il lavoro in primo luogo come fattore di giustizia sociale), le attese e le speranze dei giovani, la legalità disattesa su vari fronti (l’evasione fiscale denunciata con nettezza), l’immigrazione da governare con solidarietà e rigore, le sfide del terrorismo internazionale, la corruzione e le mafie da estirpare, per tutti coloro i quali abbiano a cuore la “cura della Repubblica”[x]. Chi ha analizzato la comunicazione istituzionale  e l’uso della lingua nel discorso di Mattarella ha sottolineato la scelta di un italiano semplice e facilmente comprensibile a tutti[xi]. Si è anche rilevato che tra i dieci sostantivi più frequenti (ItaliaimpegnoPaeselavoropersonavitaitaliani, riconoscenza, ambiente,bambini),“risultano scarsamente significative ItaliaPaese, italiani, parole che ricorrono con frequenza nella maggior parte dei discorsi dei Presidenti della Repubblica”. Eppure, dalle parole del Presidente emerge invece un patriottismo sobrio e solidale, di intensa e religiosa moralità ma anche di laica etica civile: “Rispettare le regole vuol dire attuare la Costituzione, che non è soltanto un insieme di norme ma una realtà viva di principi e valori. Tengo a ribadirlo all’inizio del 2016, durante il quale celebreremo i settant’anni della Repubblica. Tutti siamo chiamati ad avere cura della Repubblica. Cosa vuol dire questo per i cittadini? Vuol dire anzitutto farne vivere i principi nella vita quotidiana sociale e civile”.

La prospettiva di lungo periodo permette di vagliare i contenuti e lo stile del Presidente; ed i discorsi di fine anno, da quando Luigi Einaudi lo introdusse per la prima volta nel 1949 alla radio, hanno ormai una lunga “storia”. L’analisi su retorica e lessico ha permesso di evidenziare fattori di continuità (per temi e caratteristiche discorsive) con Napolitano, Ciampi e Cossiga.  Si è insistito, a proposito dei valori etici e morali, sui legami di natura religiosa con un altro presidente di matrice cattolica come Francesco Cossiga (più sul piano grammaticale che su quello dei contenuti). In realtà, se allarghiamo l’indagine e consideriamo lo stile anche sul piano dei comportamenti e dei luoghi simbolici, emerge invece un nesso forse ancora maggiore con Sandro Pertini. Intanto, troviamo una perfetta sintonia relativamente all’uso del motto patriottico con cui entrambi terminarono il loro discorso di insediamento: “Viva l’Italia, viva la Repubblica”. Il rinvio è dunque a temi (come la denuncia della corruzione e la rivendicata morale pubblica) e ad una “cura della Repubblica” che, allora come oggi, sembrano essere in testa alle preoccupazioni e ai propositi del Presidente. Anche sul piano della scena del discorso Mattarella riprende lo stile di Pertini: non dietro la scrivania d’ordinanza ma parlando dal salotto del Quirinale[xii], nel tentativo di rendere più diretto (non solo sul piano del linguaggio) il filo coi cittadini. I due presidenti, assai diversi per tante altre cose, per tradizioni e provenienza (politiche e religiose), ci appaiono “inclusivi”, entrambi con uno stile laico e nella volontà di porsi come il presidente “di tutti”. Mattarella coniuga un forte senso della “disciplina costituzionale” con tratti insieme di carattere e di stile. A questo suo stile danno un forte carattere i gesti semplici e simbolici dell’esercizio del suo ruolo: il primo arrivo in un’auto utilitaria al palazzo del Quirinale come la sua (quasi completa) apertura ai cittadini. Di altro si potrà forse dire nel prosieguo del settennato.

[i] Si muove dall’esito di un volume recente, frutto di una ricerca triennale di gruppo presso l’Università della Tuscia : Presidenti. Storia e costumi della Repubblica nell’Italia democratica, a cura di M. Ridolfi, Viella, Roma 2014.

[ii] A. Giacone, La fonction présidentielle en Italie (1946-1964), 3 voll., thèse doctoral, Institut d’Études Politiques de Paris, 2008 : vol. I, p. 12 per la citazione. Si può vedere Id., Da De Nicola a Segni. Quattro capi di Stato, quattro stili presidenziali, in «Archivi e Cultura», numero unico L’Italia Unita 1861 – 2011, XLIV (2011), pp. 103-124.

[iii] Ibidem, pp. 15-16.

[iv] Cfr. L. Cheles, Immagini presidenziali nel tempo presente: Francia e Italia, in Presidenti, cit., pp. 157-170.

[v] Per alcuni percorsi di ricerca sulla retorica presidenziale cfr. Messaggi dal Colle. I discorsi di fine anno dei presidenti della Repubblica, a cura di M.A. Cortellazzo e A. Tuzzi, Marsilio, Venezia 2007.

[vi] Si veda M. Breda, L’anniversario. I dodici mesi al Quirinale, “Corriere della Sera”, 29 gennaio 2016.

[vii] Sull’importanza dei giornalisti “quirinalisti”, battistrada spesso di riflessioni e percorsi di indagine che solo di recente gli storici di professione hanno rilanciato e messo a punto, cfr. le osservazioni di un giornalista di lungo corso come Giovanni Di Capua: Quirinalisti e presidenti: il racconto dei giornalisti, in Presidenti, cit., pp. 137-156.

[viii] M. Breda, Mattarella, che presidente sarà, “Corriere della Sera”, 1 febbraio 2015.

[ix] M. Breda, Il ruolo di arbitro e la priorità delle riforme, ivi, 4 febbraio 2015.

[x] Tra i commenti sulla stampa nazionale, si veda M. Damilano, Il Discorso, ww.espressorepubblica.it, 1 gennaio 2016.

[xi] M. A. Cortellazzo e A. Tuzzi, L’Italiano semplice del Presidente Mattarella, 9 gennaio 2016. L’analisi è costruita sulla banca dati, organizzata su base lessicale, già pubblicata nel 2007 e quindi aggiornata. Ne riprende le tesi P. Gheda, Ex DC. Mattarella rottama Scalfaro e “adotta” Cossiga, www.ilsussidiario.net, 5 gennaio 2016.

[xii] Lo rimarcò F. Maesano, Il debutto degli ultimi cinque inquilini del Colle, “La Stampa”, 30 dicembre 2015.

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