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Oltre la crisi della Chiesa. Il pontificato di Benedetto XVI. Recensione di Andrea Ciampani

Roberto Regoli, Oltre la crisi della Chiesa. Il pontificato di Benedetto XVI, Torino, Lindau, 2016, pp. 512.

Recensione di Andrea Ciampani.

Il lavoro di ricerca di Roberto Regoli si presenta come un’opera coraggiosa nel contesto della storiografia contemporaneista. Non si tratta solo di considerare la decisione di indagare un oggetto di studio recente, qual è il pontificato di Benedetto XVI, racchiuso tra gli anni 2005-2013. Piuttosto, merita di essere evidenziata la consapevole determinazione dell’autore nel sottrarre alla produzione giornalistica la pretesa di predeterminare, attraverso una cronaca tanto brillante quanto frammentaria, il profilo di paradigmi interpretativi da consegnare allo storico (talora disattento nel cogliere l’intento militante di alcuni vaticanisti). Nell’opera di Regoli è il metodo storico che si inoltra nei complessi meandri della realtà che indaga, utilizzando le fonti disponibili e dichiarandone i limiti inevitabili, ma gestendo con la dovuta cura documenti e testimonianze, come se l’oggetto della ricerca fosse il cardinal Consalvi, cui l’A. ha dedicato approfonditi studi. Al lettore di oggi, così, il libro si presenta come una «griglia interpretativa» del pontificato di Benedetto XVI; nello stesso tempo, l’opera costituisce, riprendendo le parole di Miccoli che ne rivelano l’ambizione, anche e soprattutto «un contributo offerto allo storico del futuro». In effetti, di un libro rivolto a ricostruire percorsi della storia contemporanea propriamente si tratta.

Qualche spirito ingenuo potrebbe pensare che l’invasione di campo delle ricostruzioni giornalistiche sia stata facilitata dall’argomento; nulla di più errato. Con particolare lucidità Regoli procede a sgombrare il campo da alcuni possibili equivoci. Il volume dichiaratamente non è una biografia di papa Ratzinger (lui ancora vivo), né costituisce una storia del papato (ciò che implicherebbe uno studio che vada ben oltre la figura del pontefice). L’attenzione di Regoli si concentra sul governo della Chiesa esercitato da Benedetto XVI, collocandolo in un processo storico diacronico e contestualizzandolo nelle relazioni con attori ed eventi con i quali si è misurato un magistero pontificio volto a delineare un approdo oltre la crisi della Chiesa contemporanea.

Posto all’interno del mutamento di scenari avviato dall’11 settembre 2001, Regoli propone di scandire pontificato di Ratzinger in un due fasi: alla prima più dinamica e propulsiva che dal 2005 conduce al 2010 (l’enciclica Caritas in veritate è del dicembre 2009), seguirebbe una seconda in cui l’iniziativa del papa pare segnare il passo e bloccarsi. Nel presentare tale quadro l’A. sottolinea come il pontefice abbia coerentemente perseguito l’attuazione del Concilio Vaticano II, lo sviluppo di relazioni ecumeniche, la ridefinizione delle relazioni con l’Islam, la modificazione, infine, della stessa ecclesiologia istituendo, con la personale esperienza, il profilo di un «papa emerito». Per dar conto di tale cammino il libro analizza in particolare il rapporto del pontefice con la curia romana, il governo magisteriale della Chiesa cattolica, le «urgenze» della sua dimensione universale, le iniziative per l’unità dei cristiani, il dialogo con mondo culturale e l’indirizzo della diplomazia pontificia.

Qual è il bilancio storico del percorso che Regoli infine ci offre? Non c’è dubbio che egli ponga volutamente più domande che risposte. Un passaggio del libro, che l’A. non manca di sottolineare, merita qualche considerazione per trovare ulteriori indicazioni. In margine ad una intervista concessa ben prima del 2010, ma resa nota solo nel 2013, un biografo del papa gli ha domandato: «Lei è la fine del vecchio o l’inizio del nuovo?». Ratzinger rispose: «Entrambi». La suggestiva luce sulla personalità del pontefice che emerge da tale scambio di battute, merita di essere messa «alla prova» del suo operato. Si riannodano, così, tre questioni che il libro presenta in modo analiticamente distinte: l’eredità del pontificato di Giovanni Paolo II, l’interpretazione della crisi della Chiesa, la rinuncia all’ufficio petrino nel 2013. In tale prospettiva storica, ancora oggi segnata dalla contemporanea presenza di due papi, in modo del tutto singolare il conclave di Francesco si ricollega al conclave di Benedetto.

Riportando, in primo luogo, i dati raccolti dai vaticanisti sul conclave del 2005, Regoli ci offre la possibilità di riconsiderare in una visione d’insieme la rapida elezione (solo quattro votazioni) del pontefice dopo la morte di Wojtyla. In realtà, la lunga malattia del papa aveva dato modo ai cardinali di delineare da tempo la figura di un possibile successore; tuttavia, il nome di Ratzinger sembra entrare tra i papabili solo nel 2004. Questi era noto al collegio cardinalizio per il suo ruolo di prefetto della dottrina della Fede cui l’aveva voluto Giovanni Paolo II; da quell’osservatorio, peraltro, egli aveva conosciuto la curia e le sue dinamiche. La dinamica del conclave del 2005 richiama quella che seguì la morte, dopo una protratta malattia, di Pio IX e che condusse alla rapida elezione (tre votazioni) di Leone XIII. Allora fu il consenso su Pecci del principale candidato alternativo che aprì la strada al soglio pontificio. La ricostruzione del maturare della volontà cardinalizia a favore di Ratzinger, comunque, delinea l’aspettativa per un papa in grado di compiere un cammino intrapreso e, nello stesso tempo, ad avviare nuovi passi.

È questo, del resto, il profilo dell’itinerario pontificio per andare oltre la «crisi della Chiesa». Non solo non si tratta della «crisi» del pontificato di Ratzinger (talora identificata da qualche giornalista con l’emergere mediatico degli scandali sessuali o dalle polemiche sulle sottrazioni di documenti vaticani), né della «crisi» che affrontò col suo particolare carisma il papa polacco. È l’uscita dalla crisi della Chiesa che Ratzinger legge sul lungo periodo già nel 1978, che deve essere affrontata praticando la massima fedeltà al Concilio Vaticano II, come da lui ribadito nel 2011. È questo «oltre» che Benedetto XVI sembra perseguire, realizzando il suo ministero tra continuità e innovazione, attuando il mandato datogli da una composita maggioranza cardinalizia. Dalla ricostruzione storica del volume, due preoccupazioni su tutte appaiono frenare tale percorso nel suo pontificato. In primo luogo, la manifesta crisi dell’Europa, evidente sotto il profilo socio-politico di fronte alle trasformazioni del mondo occidentale e di quello islamico; per il papa essa è alimentata da una scarsa consapevolezza culturale delle sfide di «una dittatura del relativismo», che mette in discussione la presenza di Cristo come «misura» dell’umanesimo contemporaneo. Il richiamo a considerare la Chiesa come anima di un’Europa ritrovata intorno alla prospettiva conciliare non ha trovato forse gli alleati immaginati, deludendo coloro che vedevano in lui la figura di un restauratore dell’ordine occidentale. In secondo luogo, il difficoltoso recepimento negli uomini di Curia dell’orientamento pontificio, tanto culturalmente nitido quanto fondato sulla forza del convincimento, nel progressivo modificare un’organizzazione che era parte stessa delle dinamiche critiche. Il libro di Regoli pone, dunque, un ulteriore interrogativo sull’individuazione in Vaticano di uomini che fossero insieme «fidati, liberi e di governo».

La riflessione circa la posizione di maggiore o minore isolamento del papa rispetto alla Curia, peraltro, ci riconduce ai tratti di continuità e di innovazione sopra richiamati. Ratzinger conosceva bene il problema delineatosi negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II; egli ebbe modo di osservare da vicino la forma di governo pontificio col gesto personale che con libertà Wojtyla utilizzò anche durante la malattia. Benedetto XVI considerò certamente le ripercussioni che avrebbe dovuto affrontare dall’esposizione mediatica derivante da una tale scelta. È difficile sottrarsi, peraltro, dall’impressione che sia ricorso al governo della Chiesa attraverso il gesto personale quando ha ritenuto il vantaggio superiore al sacrificio: si pensi alla Via Crucis del 2005 sulla «sporcizia» presente nella Chiesa, e, soprattutto, nel delineare il suo ruolo di «papa emerito» nel 2013.

La testimonianza del segretario personale di Ratzinger e ora prefetto della Casa pontificia, mons. Georg Gänswein, offerta in occasione di una presentazione del volume di Regoli nel maggio 2016, ci ricorda come quello che parve «il passo meno atteso nel cattolicesimo contemporaneo» non lo fosse affatto per Benedetto, che da cardinale aveva riflettuto pubblicamente sull’argomento già nel 1978, in occasione della morte di Paolo VI. Gänswein ha tenuto a sottolineare la meditata scelta compiuta dal papa emerito, che continua ad abitare in Vaticano: «Decuit, potuit, fecit». Il pontefice teologo non avrebbe così abbandonato, ma rinnovato l’ufficio di Pietro: non la rinuncia di Celestino V, ma una innovativa partecipazione al «ministero petrino». Tradizione e nuovo inizio, dunque.

Senza addentrarci nelle problematiche ecclesiologiche poste dalla presenza di due papi, «un membro attivo e un membro contemplativo» come proposto da Gänswein, merita di essere approfondito il passo compiuto da Benedetto XVI nell’annunciare ai cardinali, l’11febbraio 2013, che riteneva le sue forze non più sufficienti «per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». Non è solo significativo il fatto che, alla luce dell’esperienza del pontificato procedente, Ratzinger abbia considerato ragionevole lasciare l’ufficio venendogli meno l’energia adeguata a tenerlo; evitando, dunque, che allora la sua figura potesse diventare il volto della crisi della Chiesa nel mondo e che i suoi limiti lo rendessero ostaggio di chi contrastava le riforme. Soprattutto, è rilevante che egli abbia potuto scegliere il momento in cui farlo, del tutto consapevolmente; intervenendo così direttamente attraverso la tempistica da lui determinata nel percorso che doveva condurre al nuovo conclave.

Insomma, il libro di Regoli sembra rafforzare il convincimento che papa Ratzinger abbia scelto con coraggio non solo quando, ma anche chi introdurre al governo della Chiesa, per portarla oltre la crisi: il primo pontefice non europeo (oggi il 49 percento dei cattolici del mondo vive nelle Americhe), che con i suoi primi gesti ha voluto indicare la profonda riforma della curia. La forza paradigmatica della potestà personale del papa nella Chiesa ci conduce a riconsiderare quel filo rosso che, attraverso Ratzinger, sembra collegare la conclusione del pontificato di Wojtyla agli esordi di quello di Bergoglio. I caratteri del «cristianesimo bello» proposto da Benedetto, del resto, potrebbero essere sottoscritti pienamente da Francesco. Il crinale del 2010, allora, non appare certo una frattura, ma il tornante di un ampio disegno, le cui implicazioni lo storico è chiamato ad esplicitare.

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